Fai attenzione alla tua ombra. Ogni uomo ha un fratello che è la sua copia esatta. È muto e cieco e sordo ma dice e vede e sente tutto, proprio come lui. Arriva nel giorno e scompare la notte, quando il buio lo risucchia sottoterra, nella sua vera casa. Ma basta accendere un fuoco e lui è di nuovo li, a danzare alla luce delle fiamme, docile ai comandi e senza la possibilità di ribellarsi. Sta disteso per terra perché glielo ordina la luna, sta in piedi su una parete quando il sole glielo concede, sta attaccato ai suoi piedi perché non può andarsene. Mai. Quest’uomo è la tua ombra. È con te da quando sei nato. Quando perderai la tua vita, la perderà con te, senza averla vissuta mai. Cerca di essere te stesso e non la tua ombra o te ne andrai senza sapere che cos’è la vita.
Giorgio Faletti, Fuori da un evidente destino
*
Caleb Kelso, a differenza di tanti altri, aveva un progetto.
Questa, secondo lui, era l’unica cosa che contava davvero nella vita.
Avere un progetto, per quanto velleitario potesse sembrare. La storia era piena di episodi del genere. Quello che a molti era sembrato un semplice sogno di pazzi visionari, per quei pochi che ci avevano veramente creduto era diventato un grido di vittoria.
Era solo questione di tempo e prima o poi anche lui avrebbe raggiunto il risultato a cui stava lavorando da anni. In un momento avrebbe cancellato tutta la fatica, tutte le notti bianche e tutto il denaro speso, ma soprattutto le derisioni e le risatine di scherno alle sue spalle. Una volta aveva letto da qualche parte che la grandezza di un uomo si misura da quanti stupidi gli
danno addosso. Allora quelli che lo prendevano in giro si sarebbero mangiati il fegato, condito con la stessa merda che gli avevano sparso addosso. Sarebbero piovuti gloria e milioni di dollari e il suo nome sarebbe
finito nella lettera K di tutte le enciclopedie del mondo.
Kelso, Caleb Jonas. Nato a Flagstaff, Arizona, il 23 luglio 1960, l’uomo che era riuscito a…
GIORGIO FALETTI* fuori da un evidente destino
***
A Caleb piaceva quel cane. Aveva carattere da vendere. O se non altro aveva un carattere molto simile al suo, commerciabile o meno che fosse.
Per questo lo faceva sedere in cabina accanto a lui e non lo costringeva sul cassone dietro come facevano tutti gli altri cacciatori, che se ne andavano in giro con mezzi addobbati di teste canine che spuntavano dalle sponde e che avevano l’espressione di condannati a morte su una tradotta. Per poi disperdersi nei boschi abbaiando come forsennati quando i loro padroni scendevano dalle macchine, si mettevano in spalla i Remington o i Winchester e iniziava la caccia.
Silent Joe non abbaiava mai. Non l’aveva fatto nemmeno quando era un cucciolo tutto zampe e con addosso una quantità di pelle tre taglie superiore alla sua. Per questo motivo al suo nome originale, Joe, si era ben presto aggiunta la qualifica di silenzioso, che lui si portava appuntata al petto con noncuranza come un’onorificenza. Se ne andava in giro senza parere con la sua andatura dinoccolata al limite della disarticolazione, al punto che guardandolo correre Caleb spesso aveva pensato che i movimenti, più che coordinarli, li sorteggiasse. Ma era il compagno ideale per la caccia con l’arco, quella che Caleb preferiva su ogni altra al mondo, una caccia fatta di appostamenti, immobilità, silenzio e cura del vento, per impedire di essere fiutati dalle prede. Un cervo, se stava sottovento, riusciva a sentire l’odore di un uomo o di un cane a una distanza di ottocento iarde e in pochi minuti quella distanza farla diventare di otto miglia.
Non poteva dire che Silent Joe fosse veramente il suo cane, perché quell’animale dava l’idea di appartenere solo a se stesso. Ma era in fondo l’unico vero amico su cui potesse contare, per la commozione di tutte le nonne che ricamavano «Home, sweet home» sulle loro tovagliette di lino.
GIORGIO FALETTI* fuori da un evidente destino
***
Qualcuno da qualche parte aveva detto che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Forse, nel suo caso ci aveva azzeccato in pieno. Il suo sguardo era in sostanza il riflesso della sua esistenza. Si sentiva da sempre una figura scomposta, che camminava al centro del fiume senza nutrire un vero interesse per una qualunque delle due rive. Da entrambe si sentiva attratto e nello stesso tempo rifiutato, senza appartenere veramente a nessuna delle due.
Un uomo che non era bianco e non era rosso, un uomo nel quale nemmeno gli occhi riuscivano a essere dello stesso colore.
***
Il giorno in cui era nato, suo nonno lo aveva levato dalle braccia della madre e lo aveva osservato a lungo. Poi lo aveva tenuto per un istante sospeso davanti a sé come per un’offerta a chissà quale degli antichi dèi e aveva predetto che in quel bambino ci sarebbero stati tre uomini. Un uomo buono, un uomo forte e un uomo coraggioso. Jim si chiedeva spesso se il vecchio
capo non fosse rimasto deluso. In ogni caso, la profezia forse non si era avverata ma il nome era rimasto.
Táá’ Hastiin.
Tre Uomini.
GIORGIO FALETTI* fuori da un evidente destino
***
“Charlie amava la terra e Jim amava il cielo. Charlie amava la distesa sterminata che si apriva ai suoi occhi mentre percorreva il deserto e Jim amava i canyon che si aprivano tra i grattacieli. Charlie aveva scelto di restare e Jim aveva scelto di andare via.
Tirò fuori gli occhiali dal taschino e se li mise. Dietro a quello schermo ambrato decise di essere lui rompere il silenzio.
«Come è successo?»
«Nel modo che tutti gli uomini sognano. Mentre dormiva è arrivato
qualcuno e se l’è portato via. Decidi tu chi.»
«Ha sofferto?»
«I medici hanno detto di no.»
Jim ricadde per qualche istante nel silenzio senza remissione che aveva invaso la macchina fino a poco prima. Sentiva una cosa strana agli occhi e in gola. Aveva un nome preciso, ma lui per il momento preferiva non
dargliene nessuno.
Si riprese ma la sua voce non era più la stessa.
«Ha avuto gli onori che meritava?»
«Certo…..”
GIORGIO FALETTI* fuori da un evidente destino
***