Sangue. Il buco è riaperto.
Questo è l’odore che parla di me da quando sono nato.
In una foto che ho adesso nitidamente negli occhi, ma che stava nel salotto dei miei, sigillato con il cellofan, avevo poco più di di qualche ora di vita e mio padre mi mostrava al mondo, fiero, tenendomi in braccio in malomodo, come un pezzo d’animale.
Il suo sorriso tra la bocca e i baffoni è identico.
Da qualche parte in casa ho le foto dei suoi primi macelli. Come trofei alzati in aria per i piedi, li esponedavanti a chi lo fotografava con la stessa identica fierezza con cui mostrava la mia nascita.
Ero io.
Come i suoi agnellini, un pezzo di carne la cui vita o morte dipendeva esclusivamente da lui. L’odore del suo camice sporco sarebbe stato il mio.
Non mi sarei dovuto illudere.
Sono io quell’odore.
GIULIANO SANGIORGI, LO SPACCIATORE DI CARNE